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Periodo Yamato  (552-710)

Al termine del periodo Kofun il Giappone si presentava come un’unica nazione le cui terre erano tutte assoggettate al dominio dell’Imperatore. La famiglia imperiale, appartenente al clan Yamato, governava il paese con l’autorità derivantele dalla proclamata discendenza dalla dea del sole Amaterasu. Altre grandi famiglie, che si dichiaravano discendenti collateralmente dalla stessa dea (clan Omi) o da divinità minori (clan Muraji), partecipavano di fatto alla gestione del potere ed avevano il diritto di scegliere tra i propri componenti la sposa dell’imperatore. Poiché questo previlegio era appannaggio della famiglia più potente, spesso accadeva che la famiglia dell’imperatrice governasse più dell’imperatore stesso, la cui figura rappresentava più il simbolo dell’autorità centrale che non una effettiva fonte di potere. Nel periodo Yamato le famiglie Omi più potenti furono i Soga mentre tra i clan Muraji prevalsero i Mononobe ed i Nakatomi.

Gli eventi più importanti del periodo Yamato furono l’introduzione della scrittura e quella del buddismo. Entrambi questi apporti raggiunsero l’arcipelago per il tramite della Corea. La penisola coreana era divisa in tre regni, uno dei quali era alleato ai giapponesi: questo re mandava ogni anno un’ambasceria presso la corte nipponica, della quale a volte facevano parte letterati che conoscevano il cinese. Il sistema di scrittura cinese cominciò quindi a diffondersi nell’arcipelago e venne utilizzato senza particolari cambiamenti per trascrivere le parole che oralmente continuavano ad essere pronunciate con il termine giapponese. Ancora oggi gli ideogrammi giapponesi sono molto simili a quelli cinesi e possono essere letti sia con il termine giapponese originale sia con una lettura completamente diversa derivata dal cinese.

Nel 552 d.C. il re coreano, sentendosi minacciato dai regni vicini, chiese l’intervento dei giapponesi che sbarcarono in forze con l’evidente proposito di conquistare nuovi territori. L’impresa non andò a buon fine, ma nel corso della campagna militare i giapponesi vennero a contatto con il buddismo e di ritorno in patria cominciarono a diffonderlo nei loro territori. La famiglia dei Soga fu subito favorevole alla nuova religione mentre i clan Muraji temevano che il buddismo avrebbe diminuito l’importanza delle famiglie discendenti da divinità minori. Si giunse allo scontro armato che, dopo un cinquantennio di guerre civili, vide la vittoria dei Soga e la scomparsa dei Mononobe. Il buddismo poté quindi affermarsi ufficialmente in Giappone e fu ben presto adottato da tutta la popolazione; non soppiantò però lo Shinto, la religione originaria giapponese, ma si affiancò ad esso in modo che ognuno potesse essere contemporaneamente buddista e shintoista. La tipica adattabilità della mentalità giapponese consente di abbracciare diverse teorie filosofiche senza farle entrare in contrasto tra di loro: quando nel 16° secolo giunsero i primi missionari cattolici, un buon giapponese riusciva tranquillamente ad essere cristiano, seguire gli insegnamenti di Confucio, credere in Buddha e praticare i riti shinto, senza che questo gli provocasse alcun conflitto.

La figura più rappresentativa di questo periodo fu Umayado, nipote dell’imperatrice Suiko e da lei nominato reggente, che passò alla storia con il nome di Shotoku Taishi,  “il principe santo e virtuoso”; egli avviò una serie di riforme che avrebbero cambiato il volto del paese ed influenzato la sua politica fino ai giorni nostri. La potenza e la filosofia del vicino impero cinese rappresentavano un polo d’attrazione irresistibile: Shotoku Taishi riuscì a prendere numerosi modelli dalla civiltà cinese e li trasformò adattandoli genialmente alla mentalità ed alle condizioni sociali giapponesi. Promulgò inoltre una Costituzione che affermava esservi in Giappone un solo sovrano di fronte al quale tutti gli uomini sono uguali: si intravede il principio di un’unità politica del popolo giapponese, si profila una nazione. Inoltre la Costituzione accoglie uno dei principi fondamentali dell’etica confuciana cinese, quello dell’armonia: le decisioni, applicate con l’autorità del sovrano, vengono prese in accordo con i ministri. In pratica l’Imperatore si limita a “regnare” mentre a “governare” pensano i ministri. Questa netta divisione dei ruoli ha consentito alla casa imperiale di perpetuarsi fino ad oggi. L’attuale costituzione del Giappone assegna all’imperatore lo stesso ruolo che gli assegnava, milletrecento anni prima, quella di Shotoku. A onor del vero bisogna dire che lo strapotere della famiglia dei Soga, cui apparteneva il primo ministro, zio dell’imperatrice Suiko, avrebbe comunque impedito a Shotoku di rivendicare un ruolo più attivo per l’imperatore.

A partire dal settimo secolo, su iniziativa dello stesso Shotoku, il Giappone cominciò ad inviare regolarmente ambascerie presso l’impero cinese, delegazioni che oltre ad avere un carattere commerciale rappresentavano delle vere e proprie missioni di studio. Grazie a questi studi il clan Yamato varò una serie di riforme su imitazione del sistema amministrativo cinese, volte soprattutto a rafforzare il potere dell’imperatore. Anche in questo caso l’adozione di nuove idee non avvenne senza lotte, che andarono ad intrecciarsi con il conflitto tra i Soga ed i loro nemici. Alla fine prevalsero i Nakatomi, ed i Soga scomparvero dalla scena politica. Per togliere potere ai capi degli altri clan si proclamò risolutamente che tutte le terre dello Stato appartenevano all’Imperatore: esse furono tolte ai grandi proprietari terrieri e distribuite ai contadini in base ad un sistema detto kubunden. Ogni uomo riceveva in affitto, per tutta la vita, circa due ettari di terra per la quale doveva versare come tassa una parte del raccolto; la terra restava però di proprietà dello stato e quindi non poteva essere venduta nè lasciata in eredità. I capi degli uji vennero nominati governatori e fu loro assegnata la responsabilità di province e distretti: in questo modo essi conservavano parte del precedente potere, ma questo non era più un potere indipendente dovuto al possesso di terre, ma diveniva una delega dell’autorità centrale dello stato. Gli esponenti degli uji si trasformavano così in kuge, aristocratici di corte.

Tempio buddista presso Osaka (VI secolo)

Shotoku Taishi con i figli