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Le massime fondamentali del JUDO

Quando Jigoro Kano elaborò le basi teoriche del Judo, per meglio esprimerne la filosofia definì alcuni principi che, unitamente al concetto di “do”, evidenziavano l’aspetto etico di questa nuova disciplina. In particolare, egli formulò due massime che dovevano illustrare tali principi: “JI-TA-KYO-EI” e “SEI-RYOKU-ZEN-YO”.

JI-TA-KYO-EI

Tradotto alla lettera significa “io ed altri insieme progresso”, ovvero il progresso personale si può ottenere solo con la collaborazione degli altri, solo insieme agli altri. Da una prima lettura in chiave sportiva, deriviamo che il Judo non può essere praticato da soli. Questo non solo perché occorre fisicamente la presenza di un partner, ma perché per imparare è indispensabile la sua collaborazione. Per collaborare il nostro compagno dovrà accettare di subire numerose proiezioni, dovrà impegnarsi ad assumere quelle posizioni o fare quei movimenti richiesti dallo studio della tecnica senza perdere tempo e senza distrarsi, dovrà concentrarsi su quanto stiamo facendo per offrire la giusta opportunità e correggere eventuali difetti: in questo modo ci aiuterà realmente a progredire. Ma anche noi, a nostra volta, dovremo essere disponibili a fare tutto ciò per il nostro collega, ad avere a cuore il suo perfezionamento, dovremo aiutare il compagno meno esperto, porci allo stesso livello di quello più debole. La palestra di judo è il luogo dove collaborazione ed aiuto reciproco non sono astrazioni che tutti condividono senza mai tradurle in pratica, ma sono realtà concrete e quotidiane con le quali ognuno deve fare i conti ad ogni lezione: il ragazzo che pensa solo per sé, che non accetta di collaborare, si accorge quasi subito di non riuscire a concludere nulla; chi si comporta in modo prepotente con il compagno più debole, si troverà altrettanto spesso nella condizione di essere egli stesso il più debole. Così ancor prima che si renda necessario l’intervento dell’insegnante, la pratica stessa del Judo porta all’applicazione del “ji-ta-kyo-ei”.

Al di là delle mura della palestra, nella vita quotidiana, il significato sociale di questa massima è d’altronde così evidente che appare superfluo soffermarcisi: in ogni momento del vivere comune la collaborazione porta a progredire più facilmente; da sempre la disponibilità all’aiuto reciproco rappresenta uno dei valori morali più qualificanti.

Questa massima viene spesso tradotta un po’ più liberamente come “Amicizia e mutua prosperità” ad indicare che con l’aiuto reciproco tutta la comunità può raggiungere una condizione di vita più soddisfacente. Anzi, nel pensiero originario di Kano è proprio tramite il miglioramento di ciascuno di noi che si può giungere ad un miglioramento della società e suo fu il merito di indicare come questo miglioramento dovesse essere l’obiettivo primario del judoka e dello sportivo.

SEI-RYOKU-ZEN-YO

Alla lettera significa “la mente ed il corpo bene usare”, cioè sviluppare congiuntamente le proprie capacità fisiche ed intellettive. Nella pratica sportiva si ripete spesso che per imparare bene un movimento bisogna prima averlo capito, poi farlo capire ai propri muscoli, cioè ripeterlo tante volte da renderlo naturale. Non si può imparare senza comprendere, ma la comprensione teorica non è efficace se non viene accompagnata da un adeguato allenamento fisico.

Questa massima viene spesso tradotta in modo più libero come principio della “massima efficienza” perché studiando attentamente la dinamica di un movimento ed allenandosi adeguatamente ad eseguirlo si giunge a sfruttare al meglio le proprie capacità, a dover impiegare meno forza e quindi ad ottenere una maggior efficacia. Questo è un principio essenziale nella pratica del Judo: le tecniche debbono essere applicate al momento giusto, sfruttando il movimento e la forza dell’avversario, facendo tesoro dell’opportunità offerta, così da ottenere un grande risultato con un impiego minimo di forza. Purtroppo spesso avviene l’esatto contrario: la scarsa abilità di molti atleti riduce il momento agonistico ad un vero e proprio confronto muscolare, confronto nel quale ad un grande dispendio di energia corrisponde un risultato molto piccolo. La scarsa coordinazione, l’imprecisione e la lentezza dei movimenti, l’infelice scelta dei tempi e delle opportunità sono tutti difetti che si cerca di nascondere con un maggiore impiego di forza, fino a giungere al punto in cui non vi è più abilità ma solo forza fisica. Questo atteggiamento non è sicuramente rispondente allo spirito del Judo: se siamo in grado di battere un avversario unicamente quando possediamo una prestanza fisica maggiore della sua, allora potremmo ottenere lo stesso risultato senza bisogno del Judo!

Anche in un contesto più ampio di quello sportivo il principio della massima efficienza può bene esprimere la filosofia del Judo: nella vita di tutti i giorni, così come in palestra, dobbiamo impiegare al meglio le nostre capacità, dobbiamo saper sfruttare nel modo migliore le opportunità che ci vengono offerte per ottenere il massimo risultato. E questo dobbiamo farlo utilizzando tutte le nostre potenzialità fisiche e mentali.
Volendo considerare globalmente l’insegnamento racchiuso nelle due massime fondamentali del Judo, possiamo affermare che esse sono in realtà le due facce di uno stesso precetto: la prima rappresenta il fine e la seconda il mezzo per ottenerlo. Solo sforzandoci di dare il meglio di noi stessi potremo ottenere un benessere collettivo.