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Periodo Edo (1600-1868)

Il periodo Edo si apre con la grande figura di Tokugawa Ieyasu, il generale che portò a compimento e consolidò l’opera di riunificazione del Giappone iniziata da Nobunaga e proseguita da Hideyoshi. Spesso gli storici hanno posto a confronto le diverse personalità di questi tre grandi condottieri, magistralmente illustrate nel componimento di un poeta loro contemporaneo che immagina le diverse reazioni dei tre di fronte ad un cuculo che non vuole cantare. Nobunaga ordina “Se il cuculo non canta, uccidetelo”; Hideyoshi dichiara “Se il cuculo non canta, lo costringerò a cantare”; Ieyasu conclude “Se il cuculo non canta, aspetterò che canti”. Irruento il primo, calcolatore il secondo e paziente il terzo. In effetti Ieyasu ha saputo attendere: dopo aver combattuto al fianco sia di Nobunaga che di Hideyoshi, è riuscito a sopravvivere ad entrambe ed a completare la loro opera, assicurando il potere supremo alla propria discendenza per oltre duecentocinquant’anni.

   I Tokugawa appartenevano ad un ramo collaterale della famiglia dei Minamoto ed erano piccoli vassalli con dei possedimenti confinanti con quelli di Nobunaga. Quando Ieyasu si schierò a favore di quest’ultimo, ne ebbe in cambio altre terre, aumentando così la propria potenza. Alla morte di Nobunaga, Hideyoshi lo costrinse a trasferirsi nella zona del Kanto per poterlo tener meglio sotto controllo, e questa fu la sua fortuna: non solo la regione era molto ricca, ma essendo una delle province più lontane, Ieyasu fu solo minimamente coinvolto nella disastrosa guerra contro la Corea voluta da Hideyoshi e non perse uomini e risorse come i daimyo del sud. Quando poi aiutò apertamente Hideyoshi contro la famiglia degli Hojo ne ebbe in ricompensa tutti i loro territori, l’intera pianura del Kanto, e trasferì il proprio quartier generale ad Edo, l’attuale Tokyo. Alla morte di Hideyoshi si trovò così ad essere il feudatario di gran lunga più potente del Giappone. Lo scontro con gli altri daimyo divenne ben presto inevitabile e nella memorabile battaglia di Sekigahara (21 ottobre 1600) divenne di fatto il padrone del Giappone. Come discendente dei Minamoto poté ottenere dall’Imperatore la nomina a Shogun, che tenne per due soli anni, dopo di che abdicò in favore del figlio. Per completare l’opera rimaneva soltanto da scongiurare la minaccia rappresentata dal figlio di Hideyoshi, Toyotomi Hidetori, il quale aveva radunato nel castello di Osaka gli ultimi vassalli a lui fedeli. Ieyasu attaccò il castello nel 1614 e dopo un lungo assedio ed una sanguinosa battaglia i nemici furono tutti uccisi. Quella di Osaka fu l’ultima battaglia del Giappone medioevale: la pax Tokugawa durò poi per quasi trecento anni, il periodo in assoluto più lungo in cui una qualsiasi nazione sia rimasta in pace.

Per assicurare questo lungo periodo di tranquillità e garantire la conservazione del potere alla propria discendenza, Ieyasu ed i suoi successori introdussero una serie di restrizioni che condizionarono la vita del Giappone nei secoli successivi.

In primo luogo la diffusione della religione cattolica, favorita da Nobunaga e tollerata da Hideyoshi, aveva di fatto creato non poche complicazioni. I giapponesi che seguivano lo shintoismo per la liturgia, il buddhismo per la vita privata ed il confucianesimo per quella pubblica, trovarono molto stimolanti i precetti morali del cristianesimo e pensarono di poterlo abbracciare senza problemi, ma si scontrarono con la risoluzione dei missionari che imponevano ai convertiti di abbandonare le altre religioni. Rinunciare allo shintoismo significava abbandonare la dottrina che legittimava l’autorità dell’imperatore quale discendente della dea e di riflesso i capi militari che governavano in suo nome. Quando poi i giapponesi si avvidero delle faide in corso tra gesuiti, francescani e domenicani, spalleggiati rispettivamente dalle corone di Portogallo e Spagna, e seppero che altri paesi, come ad esempio le Filippine, erano stati sottomessi dalle nazioni europee, videro sotto una nuova luce l’opera missionaria e la interpretarono come un tentativo di destabilizzare il potere centrale in vista di una futura conquista. Ieyasu decise quindi di espellere i missionari e perseguitare i convertiti.

I contatti con i mercanti occidentali avevano arricchito alcuni daimyo a scapito di altri, migliorando anche i loro armamenti e le loro tecnologie. Per evitare ulteriori influssi esterni Tokugawa ordinò la totale chiusura del Giappone: nessuno avrebbe più potuto entrarne od uscirne, nemmeno gli stessi giapponesi che in quel momento si trovavano all’estero. Le frontiere vennero improvvisamente chiuse e la nazione interruppe totalmente i contatti con il resto del mondo. Un’ unica eccezione fu deliberata riguardo i mercanti olandesi, forse perché essendo di religione protestante non avevano missionari, cui fu consentito di attraccare una volta all’anno in un luogo ben definito.

La suddivisione della popolazione in classi (commercianti, artigiani, contadini, samurai) divenne molto più rigida e fu reso di fatto impossibile passare da una categoria all’altra; tutti i signori locali, i daimyo, erano tenuti a soggiornare periodicamente ad Edo tenendosi a disposizione dello Shogun ed a farvi dimorare perennemente le proprie famiglie: il continuo andirivieni dei proprietari terrieri tra Edo ed i propri feudi da un lato contribuì a sviluppare le comunicazioni ed a consolidare l’unità nazionale, dall’altro tolse risorse economiche ai feudatari e diminuì il loro controllo sul territorio impedendo così che qualcuno di loro acquisisse abbastanza potere da contrastare lo Shogun. L’uso delle armi da fuoco fu in pratica vietato a tutti, salvo alcuni reparti speciali dell’esercito, e la possibilità di portare la spada fu riservata ai soli samurai. Il titolo di Shogun divenne ereditario.

L’obiettivo di ottenere la pace interna fu ampiamente raggiunto, ma al prezzo di mantenere il Giappone in una sorta di perenne medioevo, di feudalesimo che durò fin quasi ai giorni nostri. La totale chiusura al mondo esterno impedì non solo lo sviluppo scientifico, ma anche l’avvento di nuove idee in campo economico, sociale ed amministrativo. E ciò in un periodo in cui tutto il mondo occidentale sperimentava profondi rinnovamenti e lo sviluppo di grandi correnti di pensiero quali il Rinascimento, l’Illuminismo, la Rivoluzione Industriale.

Per contro le arti marziali ebbero uno sviluppo del tutto particolare essendo non più legate al combattimento tra grandi eserciti ma ai duelli tra singoli samurai che dedicavano tutta la loro vita alle arti guerriere. I movimenti si raffinarono perdendo in parte il contatto con la realtà della battaglia ma acquisendo invece in precisione ed elaborazione della tecnica, alla quale venivano affiancati concetti etici ed estetici di origine confuciana che dovevano elevare l’animo del combattente, portando a quella nuova concezione del bushido che è giunta fino ai nostri giorni e da cui attingono le moderne arti marziali. Divenne quindi sempre più importante l’aspetto formale, l’etichetta, l’eleganza del movimento, la lealtà, il codice d’onore a cui nessun samurai si sarebbe mai sottratto. E l’aspetto filosofico, quasi religioso dell’arte, profondamente influenzata dal buddismo Zen, dottrina che pure permeava altre manifestazioni artistiche quali la disposizione dei fiori e l’allestimento dei giardini, la scrittura ideografica, il teatro No, la cerimonia del tè. Il samurai era divenuto un gentiluomo, fiero della propria cultura, della propria sensibilità, del proprio gusto estetico, che insieme temperavano il rigore del bushido.

Possiamo quindi considerare il periodo Tokugawa (o di Edo, dal nome della capitale) come una sorta di limbo, di oasi felice nella quale il Giappone si era ritirato per godersi finalmente la lunga pace e dedicarsi unicamente alla ricerca del bello. In questa tranquillità irromperà prepotentemente il mondo esterno alla fine dell’ 800.

Tokugawa Ieyasu