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MAESTRO TADASHI KOIKE

Inviato ufficiale del KODOKAN di Tokyo

Koike nasce a  Kitakata, ridente cittadina non lontana dal mare nella prefettura di Fukushima, il 2 marzo 1927. Comincia a praticare il judo nella scuola, come ogni bimbo giapponese, diventando cintura nera a 14 anni, 2° dan a 16, 3° dan a 21. A 18 anni (siamo nel 1945!) viene arruolato nell’aviazione e destinato al corpo dei kamikaze, ma fortunatamente il termine delle ostilità gli consente di ritornare dopo pochi mesi ai propri studi. Si diploma alle Scuole Magistrali, ma dedica sempre più spazio al judo, vincendo numerosi campionati con la sua tecnica più potente, lo tsurikomi-goshi. Per breve tempo esercita la professione di insegnante in una scuola elementare, poi viene assunto come istruttore di judo e difesa personale nella polizia di Tokyo. Partecipa e vince i campionati giapponesi della polizia conquistando prima il 4° e poi il 5° dan. Frequenta assiduamente il Kodokan di Tokyo assorbendo gli insegnamenti di alcuni tra i più prestigiosi maestri del momento, quali Kazuzo Kudo 9° dan e Sumiyuki Kotani 10° dan. In quegli anni Koike si sposa con una giovine che ci è parso di capire fosse figlia o comunque parente di Risei Kano; il Maestro è sempre stato estremamente riservato riguardo tutti gli aspetti della sua vita privata, che non ha quasi mai voluto raccontare, sappiamo però che la sua felicità fu di breve durata e che i due furono poi costretti a separarsi a causa di una grave malattia della moglie. Forse anche per questo motivo, per trovare un momento di distrazione, nel 1956 accetta la proposta di Kano di venire per qualche tempo in Europa quale inviato ufficiale del Kodokan, per insegnare e diffondere il vero judo. Tra le varie mete possibili, sceglie l’Italia dove una palestra di Milano aveva richiesto la collaborazione di un insegnante giapponese.

Il judo italiano è ancora agli albori, alimentato soprattutto dalla passione di alcuni marinai che negli anni 20 avevano soggiornato per qualche mese in Giappone apprendendo i primi rudimenti della tecnica. Grazie all’opera del Maestro, il judo si diffonde rapidamente e la palestra nella quale egli opera, la Jigoro Kano di Milano, si impone per il livello dei propri atleti che diventeranno poi gli insegnanti più rinomati del judo lombardo. Koike ottiene il 6° dan e come inviato ufficiale del Kodokan è l’unico in Italia a poter conferire il grado di cintura nera, grado che nell’immaginario occidentale identifica già un “maestro” dell’arte. Koike sorride della presunzione di chi, raggiunta la cintura nera pensa di aver già imparato tutto e comincia a pontificare ritenendosi “grande maestro”. In effetti è ridicolo, confrontandolo con la situazione giapponese dove la cintura nera viene acquisita da bambini, praticamente da tutti, e chiunque si considera un allievo, un semplice praticante fin verso il 4° dan e solo allora comincia a potersi chiamare judoka. Comincerà così a chiamare ironicamente “padreterni del judo” quelli che credono di sapere tutto, di essere infallibili, e continuerà ad incontrare sulla sua strada questi personaggi che, appena imparato a balbettare il judo, pretendono di volerlo cambiare, modernizzare, migliorare. La pratica sportiva del judo italiano viene inserita nella Federazione di Atletica Pesante (FIAP) ed il Maestro partecipa intensamente all’attività federale e diviene allenatore della nazionale. In questi anni Koike abbandona il “suo” tsurikomi-goshi, più adatto ad un fisico giovanile, e dopo essersi dedicato per qualche tempo ad harai-goshi si specializzerà definitivamente in ashi-guruma a sinistra. Le bellezze dell’Italia, che conosceva profondamente ed apprezzava senza riserve, e l’affetto dei suoi allievi inducevano il Maestro a rinviare sempre più la data del proprio rientro in Giappone fino a quando decise di stabilirsi definitivamente a Milano. Nel 1965 si trasferisce in una nuova palestra, appena aperta da Maria Bellone, una judoka sua allieva, e la chiama Kodokan, il “luogo dove si impara la via”. In questo nuovo ambiente egli poteva impostare l’insegnamento secondo i principi che gli erano più cari e che non vedevano nel judo solo una forma di lotta o tutt’al più di competizione sportiva, ma una vera e propria forma di crescita interiore, di miglioramento della propria personalità tramite la disciplina marziale, una scuola di vita. Il Kodokan giunse ad avere fino a 400 iscritti con decine di cinture nere e sia in campo tecnico che agonistico surclassò ogni precedente risultato. Koike non trascura però l’aggiornamento delle proprie conoscenze e dedica tutte le proprie vacanze alla frequenza degli speciali corsi estivi al Kodokan di Tokyo, dove acquisisce il 7° dan.

Nel frattempo il Maestro si innamora di una ragazza italiana e la sposa, ma anche in questo caso la felicità sarà di breve durata: nel giro di pochi anni i due si lasceranno. In questo periodo il Maestro viene praticamente venerato dai judoka italiani che, a parte i soliti “padreterni”, lo considerano giustamente la fonte di ogni conoscenza. Non approfitta però della situazione per trarne un vantaggio personale, economico o di potere, né per crearsi una propria organizzazione di palestre come stava avvenendo in altre discipline; in campo federale consente un progressivo  trasferimento di poteri e mansioni ai “grandi maestri” italiani che finiscono per metterlo da parte; nella propria palestra non richiede alcuna partecipazione alla proprietà od alla gestione, accontentandosi del suo stipendio di insegnante. È così che quando nel 1970 la proprietaria, per sopravvenuti motivi familiari e di salute, decide di chiudere il Kodokan, il Maestro, rimasto senza lavoro e colmo di amarezza, rientra in Giappone.

I suoi allievi non rimangono però con le mani in mano, restano in contatto, provano tutte le vie e nel giro di qualche mese riescono ad ottenere che Francesco Conti, proprietario di una rinomata catena di palestre di Milano, apra un corso di judo in uno dei suoi club richiamando Koike in Italia. Il Maestro non è però pienamente soddisfatto che la sua arte sia solo una delle tante, probabilmente la più povera, in una palestra per soli ricchi. Dopo un paio d’anni accetta la proposta di un conoscente che gli apre un piccolo dojo in Corso Lodi, un nuovo Kodokan.

I rapporti con la federazione, che nel frattempo ha cambiato il proprio nome in FILPJ, si fanno più tesi: il Maestro non approva l’indirizzo esclusivamente agonistico che questa sta assumendo, dove tutto è subordinato alla necessità di forgiare atleti per le olimpiadi. Inoltre il meccanismo federale per conseguire la cintura nera, che prevede la frequenza per quattro mesi di una apposita Accademia a Roma, esclude dall’insegnamento chiunque abbia già un altro lavoro: i judoka possono essere solo professionisti! Dopo lunga e travagliata ponderazione, dopo aver inutilmente cercato l’appoggio di quanti avevano raggiunto una posizione grazie a lui, ed aver sperimentato l’ingratitudine di chi lo aveva osannato fintanto che ne aveva avuto bisogno, il Maestro decide di lasciare la FILPJ e nel 1978 entra in un Ente di promozione sportiva, la UISP. Questa scelta coraggiosa gli costerà cara: il Kodokan di Tokyo, che a quei tempi intratteneva rapporti solo con la federazione, non comprese i motivi di questa scelta, anzi si insospettì per le connotazioni chiaramente di sinistra che la UISP manifestava, e revocò il mandato di inviato ufficiale in Italia di cui Koike era ancora titolare: egli non poteva così più parlare né conferire gradi in nome del Kodokan, né egli stesso poté più avanzare di grado. L’intransigenza del Kodokan peggiorò ulteriormente dopo la morte di Risei Kano che aveva sempre favorito l’opera di Koike.

Nella UISP il Maestro trova una situazione judoistica di totale approssimazione e, nominato direttore tecnico nazionale, comincia a gettare le basi per lo sviluppo sportivo dell’Ente, dedicandosi soprattutto allo studio dei concetti fondamentali, delle tecniche di base, e costruendo un sistema didatticamente coerente che meglio risponda alle moderne richieste dell’allievo che non si accontenta più di ripetere infinite volte quanto gli viene insegnato ma vuole anche capire, conoscere. La sua palestra viene ora considerata come il tempio del judo, dove la tecnica viene eseguita nella sua purezza, senza abbandonarsi a facili personalismi: slegatosi dalla necessità di un risultato immediato, da applicare l’indomani in gara, l’allievo poteva dedicare tutto il tempo che voleva al perfezionamento del movimento più efficace senza dover ricorrere a soluzioni raffazzonate per abbreviare i tempi. L’insegnamento è sempre quello tradizionale, mirato alla crescita dell’allievo, a fornirgli via via che acquisisce nuove capacità, sempre meno nozioni da ingoiare passivamente ma stimoli a ricercare autonomamente le proprie soluzioni, a camminare con le proprie forze fino al punto in cui necessariamente deve richiedere l’ausilio dell’insegnante per superare il gradino successivo. Il judo del Maestro è veramente per tutti, non solo per il campione ma anche per l’amatore, per il bambino, per l’anziano.

Con queste premesse il judo UISP dilaga, sempre nuove società affluiscono nell’Ente ed i corsi nazionali e regionali che Koike fa organizzare dalle commissioni tecniche da lui addestrate, portano la preparazione dei partecipanti ad un livello che viene invidiato da tutte le altre federazioni.

In questo periodo Koike incontra una nuova compagna, una cantante lirica giapponese in Italia per lavoro, che gli resterà accanto per il resto della vita. Nella piccola palestra di corso Lodi il titolare si stanca del judo, vuole dedicarsi ad altro e lascia la gestione dell’impresa al Maestro che la rileva in società con alcuni insegnanti da sempre suoi allievi: Cammareri, De Ponti, Zaccheo. È la prima volta che il Maestro riesce ad essere titolare di una palestra e non un semplice stipendiato, ma dura poco. In base a nuove norme edilizie il locale viene dichiarato non agibile come palestra e bisogna trasferirsi in una nuova sede. De Ponti trova un locale molto bello a breve distanza, vi investe in proprio e convince il Maestro a tornare sotto padrone; inutili le proteste degli altri ex soci. Il nuovo ambiente, più grande ed accogliente, con sezioni di ginnastica e pesistica, richiama un buon numero di iscritti e consente al Maestro di farne il punto di riferimento per l’attività UISP nazionale: vi si organizzano gare, stages, corsi regionali, riunioni tecniche. Dopo un paio d’anni nuovo trasloco: De Ponti acquista un centro sportivo in periferia e vi trasferisce tutta l’attività dedicandosi a tempo pieno alla palestra. Ma il Maestro è amareggiato dall’impostazione sempre più commerciale dei corsi e del ruolo di secondo piano che il judo va assumendo nei confronti di  altre ginnastiche più remunerative; dopo un anno decide di andarsene.

Koike comincia a progettare di ritirarsi e di ritornare in Giappone con la famiglia per trascorrere gli ultimi anni nella propria patria. Ma prima chiede ai suoi allievi di fondare una palestra dove non vi sia un proprietario unico ma la gestione sia estesa a tutti gli iscritti. Nasce così la Tokyo Kodokan Milano, dove il nome “Tokyo” è stato aggiunto per far sì che la sigla dell’associazione, TKM, richiamasse le iniziali del Maestro, Tadashi Koike; egli non aveva mai consentito che una palestra portasse esplicitamente il suo nome. Per più di un anno ancora il Maestro contribuirà attivamente all’affermazione della Tokyo Kodokan, alla quale resterà l’eredità spirituale del suo insegnamento e la responsabilità di perpetuarne l’opera. Anche in campo nazionale il Maestro comincia a preparare il terreno per la propria partenza, completando l’istruzione della commissione tecnica nazionale e trasferendo ad essa un vasto potere decisionale ed organizzativo, ma all’interno della UISP si è fatto dei nemici. Alcuni politicanti, abituati una volta eletti a fare il bello o il cattivo tempo a loro piacimento, mal sopportano un personaggio scomodo che non accetta imposizioni né compromessi ma prosegue per la sua strada forte del vasto consenso della base associativa. Koike era riuscito a creare un nuovo equilibrio, ma dopo di lui le cose cambieranno rapidamente.

Nel dicembre 1984 il Maestro lascia definitivamente l’Italia. Affida la sua palestra ad un gruppo di insegnanti, tutti suoi allievi da almeno vent’anni, che designa ufficialmente come continuatori della sua opera e che ancor’oggi conducono la palestra con lo stesso spirito di allora. In Giappone Koike porta con sé il rimpianto di quell’Italia che nonostante le delusioni, le amarezze,  le ingratitudini sofferte, né lui né la moglie riescono a dimenticare, ed apre a Sendai un ristorante italiano per far conoscere ai suoi concittadini la cucina che aveva tanto apprezzato. Una volta l’anno torna in Italia per alcune settimane in modo da mantenere i contatti sia con la sua palestra sia con la UISP presso cui tiene ancora stages nazionali, esami, corsi. Ma una breve presenza non è sufficiente a mantenere in pugno la situazione e lentamente i politici fanno serpeggiare l’idea che il judo di base ormai l’hanno imparato tutti e che per proseguire bisogna rivolgersi ad altri insegnanti; in pratica si adottano forme diverse di judo per spiazzare i tecnici che ancora gli sono fedeli. Il judo del Maestro viene ufficialmente abbandonato. La Tokyo Kodokan ovviamente se ne va dalla UISP e nel 1990 viene fondata l’ISJK (Istituto per lo Sviluppo del Judo Kodokan), associazione di palestre con l’intento di conservare e sviluppare gli insegnamenti del Maestro almeno in quei dojo che più gli sono stati vicini.

Il Maestro verrà in Italia ancora un paio di volte, sempre al centro di infinite discussioni, sempre più amareggiato, tradito da tutti e ormai dubbioso anche verso gli amici più cari. Dopo lunga assenza, nel settembre ’97 scrive alla sua palestra che in novembre tornerà ancora, perché vuole vedere un’ultima volta l’Italia ed i suoi allievi. Pochi giorni prima di partire viene invece ricoverato per un male incurabile, che in breve tempo lo toglierà all’affetto di quanti lo avevano amato.

Della sua opera non rimane nulla, nulla di palesemente visibile, ma le sue parole sono stampate nel cuore delle decine di migliaia di judoka che l’hanno conosciuto, e queste non potranno essere cancellate, da nessuno.