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Shintoismo

Lo Shinto è la religione autoctona del Giappone ed alle origini fu una religione prettamente animista. Le religioni animistiche si assomigliano un po’ tutte: sono tutte religioni estremamente pratiche. Agli albori della civiltà l’uomo non si pone ancora il problema di un aldilà, di cosa succede dopo la morte, di perché esistiamo o del bene e del male: ha problemi molto più pratici da affrontare, ci sono le forze della natura che non comprende e di cui quindi ha timore, ma che possono influenzare pesantemente la sua esistenza. Le divinità da invocare o da placare sono quindi molto concrete, il sole, la pioggia, il fuoco, il mare, la tempesta, il vulcano. I riti servono a propiziare il raccolto, a scongiurare le malattie, a garantire la fecondità delle femmine.

La religione shintoista comprende letteralmente migliaia di divinità: alcune divinità principali, come ad esempio la dea del sole Amaterasu – Omikami (detto tra parentesi il Giappone è l’unica civiltà che io conosca dove il sole è interpretato da una divinità femminile, segno probabile di una società anticamente impostata sul matriarcato), attorniate da una miriade di divinità minori, i Kami, che personificano lo spirito di un certo luogo o di una certa attività, od anche gli antenati che possono assurgere a condizione divina e quindi essere invocati come entità protettrici della propria famiglia. Per questo un tempo si diceva che per i giapponesi il funerale era un evento lieto, perché è il momento in cui il proprio congiunto entra a far parte dei Kami. La stessa Amaterasu, divinità principale del pantheon giapponese, viene tradizionalmente considerata come l’antenata della famiglia imperiale e le prime grandi famiglie nobiliari avevano tanta maggior influenza quanta maggiore era l’importanza del nume tutelare cui facevano riferimento. Bisogna però tener presente che il concetto giapponese di kami non equivale assolutamente al nostro concetto di “dio”, ma piuttosto a qualcosa che per la sua maestosità e potenza ispira un senso di rispetto o che è considerato condurre un livello di esistenza superiore a quello umano. Solo le divinità principali, come Amaterasu, possono essere paragonate agli dei della mitologia greca e romana.

Le origini dello shintoismo si confondono con la storia dei primi insediamenti umani del periodo yayoi. Ogni gruppo aveva probabilmente le proprie divinità, i propri kami, ed ognuna di queste è confluita nel pantheon shintoista, dando ovviamente maggior importanza alle divinità del clan Yamato che si era imposto sconfiggendo gli dei di Izumo, la vittoria di Amaterasu sul cugino Susano-o. Nei primi tempi questa religione non aveva un nome particolare, ma nel quinto secolo, in seguito all’introduzione del buddhismo cinese, per differenziarsi da questo venne chiamata Shin-to, utilizzando gli ideogrammi cinesi Shin = dei e Do/To/Tao = via. Le due religioni non entrarono mai in conflitto, ma anzi si rafforzarono a vicenda fino a diventare un tutt’unico indivisibile, dove le divinità scintoiste venivano identificate con le diverse manifestazioni del Buddha.

Solo in seguito alla restaurazione Meiji ed all’introduzione dello Shintoismo di Stato le due religioni vennero chiaramente separate. Lo shintoismo divenne un mezzo per unificare il paese ed aumentare la devozione del popolo verso l’imperatore, per velocizzare il più possibile il processo di modernizzazione. Lo shock psicologico delle “navi nere” e il conseguente collasso dello shogunato convinsero molti che solo una nazione unita avrebbe potuto resistere alla colonizzazione dei popoli stranieri. In conseguenza di ciò lo shintoismo venne utilizzato come strumento per promuovere l’adorazione dell’imperatore, e quindi della propria nazione. L’era dello Shintoismo di Stato si chiuse bruscamente con la fine della seconda guerra mondiale. Poco dopo la fine del conflitto l’imperatore annunciò pubblicamente la rinuncia al suo stato di divinità terrena ma non smentì la discendenza della famiglia imperiale dalla dea Amaterasu.

Lo shintoismo è una religione difficile da classificare. Da una parte può essere considerata veramente come una forma molto organizzata di animismo, ma la presenza di una mitologia definita la rende più una religione politeista con tratti sciamanici. La vita dopo la morte non è una preoccupazione primaria e viene data un’enfasi maggiore al trovare l’armonia in questo mondo, invece che nel prepararsi al successivo. Lo shintoismo non possiede insiemi vincolanti di dogmi, un luogo santo sopra tutti gli altri da adorare, nessuna persona o kami considerato più sacro degli altri, e nessun insieme definito di preghiere. Lo shintoismo è piuttosto una collezione di rituali e metodi, intesi a mediare le relazioni tra gli esseri umani e i kami. Queste caratteristiche conferiscono allo shintoismo un carattere di completezza semplice ed efficace, caratteristiche che gli consentono di sopravvivere tutt’oggi, facendone una religione importante e millenaria.

Secondo la fede shintoista, lo spirito umano è eterno, proprio come i kami. Come nella maggior parte delle religioni orientali l’aldilà è concepito dallo shintoismo come una sorta di livello esistenziale superiore. Quando si muore dunque, per lo shintoismo, si cambia semplicemente forma di esistenza, si accede ad un altro tipo di esistenza. Tutto ciò che esiste è pervaso da un’energia primordiale, chiamata misubi,equivalente al Tao del taoismo; questo principio cosmico si esprime in una dualità di forze opposte, il principio negativo In ed il principio positivo Yo, equivalenti allo Yin e Yang cinesi. Dall’avvicendarsi di queste due forze primordiali e opposte scaturisce tutta l’esistenza, sia essa fisica e materiale, sia spirituale. I kami, come gli uomini, hanno origine dallo scontro eterno tra queste due polarità. A queste due energie se ne può associare una terza, chiamata in cinese Yuan, che corrisponde ai risultati dell’interazione tra le altre due. Questa dualità, o trinità, viene rappresentata da un simbolo universalmente noto e chiamato in giapponese tomoe.

Poiché lo shintoismo è coesistito pacificamente con il Buddhismo per oltre un millennio è molto difficile separare le credenze buddhiste da quelle shintoiste. Si può dire che mentre il Buddhismo enfatizza la vita dopo la morte, lo shintoismo enfatizza questa vita e la ricerca della felicità in essa; sebbene abbiano prospettive molto diverse sul mondo, la maggior parte dei giapponesi non vede alcuna necessità di riconciliare le due religioni e pertanto le pratica entrambe. Perciò è comune per molte persone praticare lo shintoismo in vita ed essere comunque sepolte con un funerale buddhista.

Nello shintoismo antico veniva ovviamente dato maggior peso alla mitologia. Si credeva in una serie di paradisi, già c’era quindi la concezione della pluralità esistenziale, anche se non espressa filosoficamente tra il popolo. Tra questi paradisi si annoverano: l’aldilà del cielo, l’aldilà Yomi, l’aldilà Tokoyo, l’aldilà delle montagne. Questi luoghi non sono descritti né come posti ameni né con caratteristiche infernali, ma come luoghi molto simili al mondo terrestre.

Lo shintoismo presenta un’infinità di insegnamenti positivi, che nascono anche come conseguenze dei suoi precetti fondamentali. Una prima regola etica è sicuramente la disponibilità verso gli altri. La religione shintoista insegna che l’uomo deve sempre offrirsi per aiutare il prossimo, caritatevolmente, sinceramente e amorevolmente, per mantenere l’armonia e il benessere nella società. Conseguentemente lo shintoismo incita al contenimento dell’egoismo e dell’egocentrismo, promuovendo invece l’umiltà.

Il culto shintoista pone, in generale, al primo posto l’interesse della comunità e il pubblico benessere. Ciò non significa che i diritti individuali e la famiglia siano ignorati. Al contrario, è sullo sfondo dei riti religiosi, come conseguenza delle azioni verso gli altri, che l’intimità, il carattere individuale di una persona e i suoi rapporti con il prossimo, sono ampiamente promossi.

Sebbene lo shintoismo non abbia comandamenti assoluti al di fuori di vivere una vita semplice ed in armonia con la natura e le persone, si dice che ci siano Quattro Affermazioni che esprimono tutto lo spirito etico di questa religione:

La famiglia è il nucleo principale della vita di una persona, è il gruppo in cui e attraverso cui una persona cresce, e da cui eredita un approccio e una visione del mondo ben precisi. In conseguenza di questa grande importanza, il nucleo familiare è un fondamento necessario al benessere dell’individuo, e come tale va tutelato ed in particolare mantenuto armonico.

La natura è sacra, in quanto espressione del divino; conservare un contatto con essa comporta il raggiungimento della completezza e della felicità, e significa mantenersi vicini ai kami. Come tale la natura va rispettata, venerata e soprattutto tutelata, poiché è da essa che deriva l’equilibrio della vita.

La pulizia è un componente essenziale dello shintoismo, pulizia consente purezza, e la purezza è una delle massime virtù. La pulizia è essenziale per condurre una vita armoniosa: il fedele shintoista ne fa largo uso, sia su se stesso che negli ambienti in cui vive; i templi shintoisti vengono tenuti sempre impeccabilmente puliti dai sacerdoti.

I matsuri sono i festival dedicati ai kami. In questi giorni il fedele shintoista prega nei templi, o nella propria casa. Per festeggiare le divinità, vengono allestiti feste, processioni e banchetti. I matsuri vengono organizzati dai templi o dalle comunità. Queste feste sono parecchie durante l’anno e vanno da quelle più importanti e nazionali a quelle dei piccoli paesi. I giorni normali sono chiamati ke (“giorno”) e quelli di festa sono detti hare (“soleggiato” o semplicemente “buono”).

Secondo lo shintoismo non c’è niente di peccaminoso di per sé, piuttosto certi atti creano un’impurezza rituale che una persona dovrebbe voler evitare semplicemente per ottenere pace mentale e buona fortuna, non perché l’impurezza sia sbagliata in se stessa. Il male e gli atti sbagliati sono chiamati kegare (letteralmente “sporcizia”), e la nozione opposta è kiyome (letteralmente “purezza”).

I riti di purificazione sono una parte vitale dello shintoismo e sono stati adottati anche nella vita moderna. Un rito di purificazione personale è legato all’acqua, elemento purificatore per eccellenza: consiste nel resistere sotto a una cascata o nell’eseguire delle abluzioni rituali alla foce di un fiume o nel mare, oppure semplicemente mediante le apposite fonti dei templi: quest’ultima pratica è richiesta quasi sempre prima dell’accesso al luogo sacro. Tra le altre credenze vi è quella di non pronunciare parole considerate di cattivo auspicio ai matrimoni, come ad esempio la parola tagliare, o non partecipare ai matrimoni se di recente si è persa una persona cara.

Nelle cerimonie di purificazione vengono generalmente utilizzati vari elementi simbolici, tra i quali spiccano la già citata acqua, il sale e la sabbia. Gli atti generali di pulizia sono chiamati misogi, mentre in specifico, la purificazione personale all’ingresso dei templi, che consiste nel lavarsi mani e bocca, è chiamata temizu o anche imi. Un rituale misogi ancora oggi molto praticato è quello che consiste nel gettare acqua nei dintorni della propria casa, per ottenerne la purezza.

Il sale è, dopo l’acqua, l’altro elemento importante nei rituali di purificazione. Le cerimonie legate al sale vengono genericamente chiamate shubatsu. Vi sono varie cerimonie in cui il sale viene sparso in un determinato luogo per eliminare le impurità, chiamate maki shio (letteralmente “sale sparso”). Di solito all’ingresso delle case vengono posti dei contenitori di sale, chiamati mori shio, che si crede abbiano l’effetto di purificare chiunque entri nell’abitazione. Il maki shio è praticato nelle case, e anche, alternativamente o insieme all’acqua, prima della costruzione di un edificio. Il sale viene offerto simbolicamente anche alle divinità, ponendolo sugli altarini domestici kamidana.

La venerazione corrisponde sempre ad un contatto con il mondo naturale, che rende i templi oasi di pace all’interno delle caotiche città. Il culto templare sottolinea l’appartenenza dell’uomo all’universo di cui è parte. I riti aiutano il fedele a comprendere la via che deve intraprendere nella vita, gli offrono forza e sostegno per superare le difficoltà e supportano la sua visione spirituale del mondo, tra sacralità e purezza. L’estetica del tempio, sostanzialmente, è un elemento fondamentale per la preghiera, e la venerazione è un tutt’uno con esse. Il tempio è infatti considerato un edificio mistico, un luogo in cui è possibile trovare un contatto e respirare la sacralità del mondo, che il luogo sacro in un certo senso canalizza.

La venerazione non deve essere un atto esclusivamente pubblico, è infatti spesso praticata anche tra le mura domestiche. È comune allestire degli altarini, chiamati kamidana (letteralmente “mensola dei kami”), su cui comunemente viene posizionato uno specchio, l’oggetto che meglio consente di dare una rappresentazione dei kami. È possibile inoltre aggiungervi oggetti sacri come ad esempio amuleti, acquistabili presso i templi. L’altare è utilizzato per offrire preghiere e incenso alle divinità, oltre ad una serie di elementi tradizionali tra cui: il sale, l’acqua e il riso.

In alternativa a templi ed altari domestici, un luogo considerato sacro, a volte addirittura di più degli edifici costruiti dall’uomo, è la natura stessa. Montagne, laghi, isole, scogliere, spiagge, foreste, prati. Dato che questi ambienti incontaminati sono la massima espressione del divino, rappresentano una delle vie per giungere alla contemplazione del sacro e alla percezione della dimensione divina dell’universo.

Raffigurazione della dea Amaterasu

Il simbolo TOMOE nella sua versione trina